30 maggio 2017

Tanzania. Quattromila bambine salvate dalle Mutilazioni Genitali

Dal 2016 a oggi, oltre il 70 per cento delle bambine e ragazze che vivono nel distretto di Serengeti sono state salvate dalla disumana pratica delle Mutilazioni Genitali Femminili.


Nel distretto di Serengeti, nella regione di Mara in Tanzania, dal 2016 a oggi sono almeno 4.148 le bambine e le ragazze salvate da questa pratica. Secondo un rapporto pubblicato all'inizio di maggio, i casi di mutilazioni genitali femminili nel paese dell'Africa sub-sahariana sono diminuiti del 5 per cento.

In base alle stime dell’associazione, sono circa 5.600 le ragazze a rischio di subire una mutilazione genitale nel distretto del Serengeti, il 74% è stato salvato, ma almeno 1.400 bambine e ragazze sono state costrette a subire questa pratica tradizionale e nello stesso tempo orribile.

La notizia è stata diffusa dal Centro per i diritti umani e legali (Legal and human rights centre) attraverso il rapporto pubblicato di recente. La pratica delle mutilazioni viola le ragazze e i diritti delle donne, per queste ragioni la legislazione della Tanzania la considera alla stregua di un reato penale.

Nel corso della presentazione del report, il ricercatore del Centro per i diritti umani e legali, Paul Mikongoti, ha dichiarato che le ragazze sono state salvate grazie a uno sforzo congiunto e unanime della polizia, del governo e delle organizzazioni non governative, che hanno lanciato una speciale campagna di sensibilizzazione contro le mutilazioni genitali femminili e che ha portato all'arresto di 32 persone nell'intero distretto di Serengeti.

"Tuttavia questo non basta anche se il governo nel 2016 ha registrato un calo del 5 per centro di casi di mutilazione genitale femminile, la situazione potrebbe non essere quella descritta nel report per il fatto che questa pratica viene molto spesso eseguita in segreto"

Il ricercatore ha di fatto sottolineato come nei distretti di Serengeti, di Tarime e Rorya, nella regione di Mara, sono ancora molte le bambine e le ragazze che sono obbligate a sottoporsi alle mutilazioni genitali femminili, anche se il rapporto ha mostrato come la Tanzania abbia imboccato la strada giusta, impegnandosi a ridurre l'incidenza di questa pratica e a garantire maggiore protezione alle vittime.

Secondo il rapporto del Centro per i diritti umani e legali, l'82 per cento delle donne intervistate per un'analisi demografica della Tanzania nell'anno 2015/2016, ha ritenuto la pratica della mutilazione genitale contraria alla propria religione, mentre l'84 per cento ha espresso il desiderio di sospenderla.

Gli attivisti per i diritti umani hanno più volte sollecitato la polizia e la giustizia della Tanzania ad accelerare le indagini e il perseguimento delle persone responsabili di atti di violenza e tortura contro i bambini, inclusa la pratica delle mutilazioni genitali.

"Le organizzazioni della società civile e il dipartimento di welfare sociale nei governi locali dovrebbero aumentare la consapevolezza del pubblico sulla violenza contro i bambini e incoraggiare i membri della comunità a denunciare tali casi alle autorità competenti per arrestare i responsabili e portarli alla giustizia"

La mutilazione genitale femminile è un grosso problema in Africa. A tal proposito, l'Organizzazione mondiale della Sanità ha stimato che annualmente vengono sottoposte a questa pratica disumana tre milioni di ragazze.
(Terre des hommes)



Mutilazioni genitali femminili, è ancora l'Africa la patria del fenomeno

Diffusione delle MGF in Africa
Secondo i dati più aggiornati di fonte OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), sono tra 100 e 140 milioni le bambine, ragazze e donne nel mondo che hanno subito una forma di mutilazione genitale.

L'Africa è di gran lunga il continente in cui il fenomeno delle MGF è più diffuso, con 91,5 milioni di ragazze di età superiore a 9 anni vittime di questa pratica, e circa 3 milioni di altre che ogni anno si aggiungono al totale.

La pratica delle MGF è documentata e monitorata in 27 paesi africani e nello Yemen. In altri Stati (India, Indonesia, Iraq, Malesia, Emirati Arabi Uniti e Israele) si ha la certezza che vi siano casi di MGF ma mancano indagini statistiche attendibili.

Meno documentata è la notizia di casi di MGF avvenute in America Latina (Colombia, Perù), e in altri paesi dell'Asia e dell'Africa (Oman, Sri Lanka, Repubblica Democratica del Congo) dove tale pratica non è mai assurta a tradizione vera e propria.

Infine, sono stati segnalati casi sporadici di MGF anche in paesi occidentali, limitatamente ad alcune comunità di migranti.

Varietà etnica e geografica del fenomeno
Le stime sulla diffusione delle MGF provengono da indagini socio-sanitarie su scala nazionale che vengono condotte tra donne di età inclusa tra 15 e 49 anni.

La prevalenza del fenomeno varia considerevolmente da regione a regione all'interno del medesimo Stato: a fare la differenza è l'appartenenza etnica.

In 7 Stati (Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, Mali, Sierra Leone e Somalia) e nel Nord del Sudan il fenomeno tocca praticamente l'intera popolazione femminile

In altri 4 paesi (Burkina Faso, Etiopia, Gambia, Mauritania) la diffusione è maggioritaria ma non universale. 

In altri 5 (Ciad, Costa d'Avorio, Guinea Bissau, Kenya e Liberia) il tasso di prevalenza è considerato medio, tra il 30 e il 40% della popolazione femminile, mentre nei restanti paesi, tra cui la Nigeria, la diffusione delle MGF varia dallo 0,6 al 28,2%.

Anche il tipo di intervento mutilatorio imposto varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Il 90% delle MGF praticate è di tipo escissorio (con taglio e rimozione di parti dell'apparato genitale della donna), mentre un decimo dei casi si riferisce all'azione specifica della "infibulazione", che ha come scopo il restringimento dell'orifizio vaginale. Quest'ultima pratica può essere, a sua volta, essere associata all'escissione.
(Unicef)

Pregiudizi alla base delle Mutilazioni Genitali Femminili

Le mutilazioni genitali femminili (MGF) vengono praticate per una serie di motivazioni: 

Ragioni sessuali:
soggiogare o ridurre la sessualità femminile.

Ragioni sociologiche:
iniziazione delle adolescenti all'età adulta, integrazione sociale delle giovani, mantenimento della coesione nella comunità.

Ragioni igieniche ed estetiche:
in alcune culture, i genitali femminili sono considerati portatori di infezioni e oscenità. 

Ragioni sanitarie:
si pensa a volte che la mutilazione favorisca la fertilità della donna e la sopravvivenza del bambino.

Ragioni religiose:
molti credono che questa pratica sia prevista da testi religiosi (Corano).

Sradicare credenze, tradizioni è difficile, ma la causa principale delle Mutilazioni Genitali Femminili è la volontà di sottomettere la donna all'uomo. Le nuove generazioni africane sono molto più informate, ed è proprio la conoscenza la chiave per risolvere il problema.


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"No alle Mutilazioni Genitali Femminili"
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Articolo a cura di
Maris Davis

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29 maggio 2017

Biafra, cinquant'anni fa iniziava la guerra. Una ferita mai rimarginata

Mentre milioni di bambini morivano di fame, nello stesso luogo qualcuno continuava ad estrarre, non curante, il petrolio


Con la proclamazione dell’indipendenza da parte del Governatore militare della Nigeria Orientale, Odumegwu Ojukwu, iniziava il 30 maggio 1967, cinquant'anni fa, la guerra del Biafra. È stata una dei primi e certamente una dei più cruenti conflitti della stagione che è seguita alle indipendenze africane.

La scintilla che accende gli scontri è la decisione dell’allora capo dello Stato Yakubu Gowon di dividere la Federazione nigeriana in 12 Stati di cui tre nel Sud-Est, regione, oggi come allora, ricca di petrolio.

Il Biafra riesce a mantenere la sua autonomia. Ma non basta

La regione, meno del 10% del territorio nigeriano, ha una popolazione di 14 milioni di persone (su 55 della Federazione di allora), per lo più cristiana e per due terzi di etnia igbo.

Fin dall'indipendenza, gli igbo (Sud-Est, cristiani e animisti) si sentono emarginati dalla vita socio-politica nigeriana e perseguitati dagli altri due principali gruppi etnici, gli hausa-foulani (Nord, mussulmani) e gli yorouba (Sud-Ovest, prevalentemente cristiani).

Così, già nel gennaio 1966, la Nigeria assiste a un primo colpo di Stato. I media puntano il dito contro gli ufficiali igbo. La reazione è durissima e molti igbo vengono massacrati nel Nord. Due milioni di essi decidono di trasferirsi nella regione natia. La tensione sale ancora e sfocia nella dichiarazione di indipendenza del 1967. Ma il Governo nigeriano non può accettare che una delle sue regioni più ricche si stacchi e diventi indipendente. Il Biafra ha un’agricoltura floridissima e, soprattutto, è ricchissimo di idrocarburi (petrolio).

La reazione è quindi violenta. Il Presidente federale dichiara la secessione un «atto di ribellione» e annuncia che «verrà schiacciata». Le autorità militari federali organizzano un blocco commerciale della regione meridionale. Scatta poi un’offensiva militare sul terreno, preparata da forti bombardamenti aerei.

La Nigeria è sostenuta dalla Gran Bretagna, ex potenza coloniale, ma anche dall'Unione Sovietica e dall'Organizzazione per l’unità africana. I secessionisti trovano il sostegno solo della Francia (che mira ad ampliare la propria zona di influenza in una regione ricchissima) e da alcuni Stati africani (tra i quali la Rhodesia, gli attuali Zambia e Zimbabwe).

L’offensiva dell’esercito nigeriano sarà implacabile e accompagnata da violazioni dei diritti umani. Nel frattempo il Biafra è colpito da una drammatica carestia che colpisce tra gli otto e i dodici milioni di persone. Il mondo viene a sapere di quella tragedia dai primi filmati in bianco e nero che vengono trasmessi dai telegiornali. Si vedono per la prima volta i volti dei bambini sofferenti e malnutriti. Passano le immagini dei violenti combattimenti.

Una manciata di medici francesi, tra cui il futuro ministro francese Bernard Kouchner, colpito dalla tragedia e non soddisfatto del lavoro delle istituzioni internazionali decide di intervenire. Da quella loro azione, nel 1971, nascerà Medici senza Frontiere, organizzazione ancora attiva negli interventi di emergenza in situazioni di guerra.

Intanto i soldati nigeriani prendono una città dopo l’altra. All'inizio del 1970, l’esercito federale lancia il suo ultimo assalto. Il 15 gennaio l’incubo finisce: il Biafra non esiste più. Ojukwu fugge in Costa d’Avorio. I militari biafrani si arrendono. Quella ferita procurerà dolore ancora per molto. E oggi, a cinquant'anni di distanza, tornano anche le rivendicazioni di indipendenza (represse dal Governo di Abuja). Segno che l’insoddisfazione verso la Nigeria non è venuta meno nelle regioni del Sud-Est.

Biafra 1967-1970 (foto storiche)
Cliccare sulla foto per ingrandirla

Il nome "Biafra" è stato cancellato da tutte le mappe geografiche della Nigeria e quello che fu uno stato indipendente per soli tre anni ora è un territorio smembrato in ben nove entità territoriali diverse che sono diventati nove Stati Federati della Repubblica di Nigeria.

Si stimarono quasi 3 milioni di morti, di cui due terzi in gran parte bambini, dovuti alla fame e alla malnutrizione. Le immagini di bambini gravemente malnutriti fecero il giro del mondo, e nel linguaggio comune la frase "bambini del Biafra" divenne un neologismo per indicare proprio bambini estremamente magri e affamati.

Almeno 5 milioni di persone furono costrette ad abbandonare i luoghi di origine per far posto alle concessioni petrolifere di ricche multinazionali. I contadini costretti a vendere terreni in cambio di irrisori risarcimenti in denaro o in cambio di estinzione di debiti.

Il risveglio del Biafra, e in Nigeria si torna a parlare di secessione
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La Guerra del Biafra (1967-1970)
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Comunicato Stampa "Associazioni per i popoli minacciati"
Nigeria: il 30 maggio di 50 anni fa iniziava il genocidio in BiafraDi nuovo in aumento la violenza in Nigeria. Un nuovo rapporto documenta arresti di massa e fucilazioni di attivisti del Biafra.
Bolzano, Göttingen, 29 maggio 2017

L'attivista biafrano Samuel Ukeje ad una tavola rotonda GfbV
A cinquant'anni dall'inizio del genocidio in Biafra, l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) si dice preoccupata per la nuova escalation di violenza registrata nel sudest della Nigeria. Un nuovo rapporto pubblicato dall'APM sulle violazioni dei diritti umani nel paese africano documenta la fucilazione di 180 sostenitori di movimenti pro-Biafra da agosto 2015 a oggi e l'arresto di 1.244 attivisti pro-Biafra nello stesso periodo.

Il 30 maggio 1967 la regione del Biafra in Nigeria dichiarò la propria indipendenza. In risposta il governo nigeriano attuò un vero e proprio genocidio nel quale morirono fino al 1970 due milioni di persone. Parlare del Biafra è tuttora un tabù in Nigeria e nessuno dei governi nigeriani che da allora si sono succeduti ha voluto ammettere che la questione del Biafra è una questione politica che necessita di una soluzione politica e non può essere risolta con il terrore e le minacce.


Dall'autunno 2015 il governo del presidente Muhammadu Buhari punta sulla criminalizzazione di tutti gli attivisti pro-Biafra. I sostenitori delle organizzazioni IPOB, MASSOB, BZM e BIM rischiano la vita o il carcere anche solo se partecipano a manifestazioni pacifiche pro-Biafra. Quando in novembre 2016 Amnesty International denunciò la preoccupante situazione dei diritti umani nel Biafra, l'organizzazione subì una campagna di diffamazione e fu accusata di voler destabilizzare il paese. Alcune delle persone arrestate furono processate per alto tradimento anche se la sistematica mancanza di prove ha finora impedito la loro condanna. Il rapporto dell'APM documenta anche il processo subìto dal fondatore dell'IPOB Nnamdi Kanu che in contraddizione a ogni standard internazionale per garantire un processo giusto, aveva unicamente lo scopo di mettere a tacere Kanu.

La violenza in Nigeria nasce anche dalla escalation del lungo conflitto tra i nomadi Fulani e i contadini del Biafra. Da decenni il cambiamento climatico in corso sottrae ai nomadi Fulani i preziosi pascoli per le loro mandrie che costituiscono anche la loro base economica vitale. Alla ricerca di nuovi pascoli finiscono per entrare nei terreni dei contadini del Biafra i cui campi vengono distrutti. Questo conflitto, a lungo ignorato, ha causato nel 2016 più vittime degli attacchi di Boko Haram. Per l'APM il governo nigeriano deve finalmente prendere sul serio il conflitto Fulani e trovare una soluzione equa se non vuole che il conflitto cresca e crei ancora più violenza e morti. Terrorizzare i sostenitori dei movimento pro-Biafra e reprimere sistematicamente la libertà di opinione e di manifestare certo non aiuterà a risolvere i conflitti.
(Associazione per i popoli minacciati)

Il nuovo rapporto sul 50º anniversario del genocidio del Biafra in Nigeria è attualmente disponibile in tedesco








Articolo di
Maris Davis

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Sud Sudan, dove il diritto alla salute non esiste

"Il diritto alla vita, alla salute, alla sicurezza, qui non esiste; lo leggi negli occhi rassegnati delle madri che non hanno nulla da mangiare per i propri figli, ma anche in quelli disillusi dei soldati che non sanno più perché combattono e muoiono lontano da casa, senza salario e cibo, ragazzi sempre affamati, alti come pertiche e magri come stecchi"
La testimonianza di Alessandra Cattani, medico chirurgo nell'ospedale di Lui, Sud Sudan, per Medici con l'Africa (CUAMM)


Il villaggio di Lui, e tutto lo Stato di Mundri West, analogamente a quasi tutto il Sud Sudan, soffre la fame. A Lui la situazione è aggravata dallo stato di insicurezza che paralizza gli spostamenti e il commercio. Le strade non sono sicure, le aggressioni e le rapine sono ormai all'ordine del giorno. Sempre più frequentemente giunge voce di persone, anche tra gli infermieri del nostro ospedale, che sono state assalite e derubate di tutto nelle loro abitazioni. Non si tratta quasi mai di azioni di militari, ma di singoli individui spinti dalla miseria e dalla fame.

La maggior parte della gente non ha reddito e mentre prima si riusciva a rimediare qualcosa con poco, ora non è più così. Il mercato è vuoto, da Juba non arrivano più prodotti perché percorrere le strade, specie con generi alimentari, è estremamente rischioso. Non si trova quasi più nulla da mangiare, i prezzi triplicano di giorno in giorno, a causa della svalutazione della moneta locale rispetto al dollaro.

I soldati, di stanza qui a Lui per mantenere l’ordine e garantire la sicurezza, non ricevono il salario da mesi, sono senza un soldo, magrissimi e affamati. Quando vengono ricoverati per ferite da arma da fuoco, chiedono regolarmente di ritardare la dimissione per poter restare a riposare in ospedale e mangiare qualcosa.

Ora che è iniziata la stagione delle piogge la gente potrebbe iniziare a coltivare la terra, ma quest’anno la maggior parte teme che il frutto del proprio lavoro sia spazzato via dal conflitto come è successo l’anno scorso. Non coltivare aggrava la situazione.

Anche in ospedale vi sono ripercussioni: non solo sta aumentando il numero dei bambini gravemente malnutriti, ma, purtroppo in modo allarmante, anche quello dei ricoveri nel reparto di medicina adulti per tubercolosi, una malattia che si accompagna costantemente alla miseria e alla fame. Nel reparto di pediatria, in precedenza le mamme arrivavano in ospedale con il loro sacchetto di riso e fagioli, ora a mani vuote e senza un soldo.

I pazienti dimessi, soprattutto quelli che abitano lontano, non vogliono correre il rischio di tornare a casa a piedi, col timore, giustificato, di essere assaliti, picchiati o rapinati. In attesa del trasporto per tornare a casa, stazionano nelle verande dell’ospedale anche per alcuni giorni senza nulla da mangiare. Spesso ci chiedono se possiamo dare qualcosa ai loro bambini. L’ospedale dovrebbe e potrebbe fornire cibo solo alle categorie più vulnerabili (donne in attesa o che hanno appena partorito, bambini malnutriti, pazienti con tubercolosi o sieropositivi), ma a questo punto lo stiamo dando praticamente a tutti.

Anche il rifornimento di farmaci per l’ospedale ormai è interamente sulle nostre spalle. Fino a un paio d’anni fa, un camion del ministero arrivava due volte l’anno carico di medicinali e materiali per la sala operatoria e le medicazioni, ora non più.

La situazione è drammatica e quello che spaventa di più è il fatto di non riuscire a intravedere prospettive di miglioramento. Il diritto alla vita, alla salute, alla sicurezza, qui non esiste; lo leggi negli occhi rassegnati delle madri che non hanno nulla da mangiare per i propri figli, ma anche in quelli disillusi dei soldati che non sanno più perché combattono e muoiono lontano da casa, senza salario e cibo, ragazzi sempre affamati, alti come pertiche e magri come stecchi.
(Alessandra Cattani, Medici con l'Africa)



Emergenza Carestia Sud Sudan

Per trovare riparo, le comunità si nascondono nelle isole della contea di Panyijar che sorgono nelle paludi lungo il Nilo, dove manca qualsiasi supporto. Il Cuamm ha organizzato tre team mobili su barca che si muovono per portare primo soccorso, con screening dello status nutrizionale, vaccinazioni e visite.

Una barca ambulanza trasferisce le emergenze al centro sanitario di Nyal, il più vicino alla zona di carestia. Il Cuamm doterà il centro di una sala operatoria e di un chirurgo per la risposta alle emergenze e realizzerà un laboratorio di analisi. Provvederà a fornire medicinali, supplementi nutrizionali e attrezzature, tra le quali un impianto a energia solare per rendere la struttura operativa in modo continuo.




Articolo a cura di
Maris Davis

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26 maggio 2017

Guerre Dimenticate. Riesplode il conflitto nella Repubblica Centrafricana

Repubblica Centrafricana, esecuzioni sommarie e corpi mutilati esposti per terrorizzare la gente. Centinaia i morti.

Gli sfollati della Repubblica Centrafricana
potrebbero arrivare a 500mila entro maggio

Le équipe di Medici Senza Frontiere testimoniano che la popolazione, per i nuovi scontri brutali in atto, pagano il prezzo più alto. Traumatizzati, in molti sono fuggiti nella boscaglia dove cercano di sopravvivere con ciò che riescono a trovare.

Centinaia di civili uccisi e feriti, in migliaia costretti a fuggire per sopravvivere e aiuti umanitari scarsi o inesistenti. È quanto testimoniano le équipe di Medici Senza Frontiere (MSF) nella Repubblica Centrafricana (CAR), dove il conflitto è sempre più esteso e intenso.

Nelle ultime settimane le nostre équipe sono state testimoni di esecuzioni sommarie e hanno trovato corpi mutilati lasciati esposti per terrorizzare la popolazione. I civili sono traumatizzati e in molti sono fuggiti nella boscaglia dove cercano di sopravvivere con ciò che riescono a trovare

Le immense ricchezze, la profonda povertà
Negli ultimi mesi, lotte interne alle parti coinvolte nel conflitto hanno ulteriormente spaccato i gruppi rivali, scatenando un nuovo conflitto per il controllo del territorio e delle risorse, le immense risorse, soprattutto nella parte centrale e orientale del paese (prefetture di Ouaka, Haute Kotto, Basse Kotto e Mbomou).

Quando il controllo di una città passa di mano, i civili sono i primi a soffrire. Nell'ospedale pediatrico di Bria, per esempio, le équipe di MSF hanno trattato da novembre 168 persone per ferite causate dagli scontri. Con i soliti contorni opachi, che caratterizzano tutte le rivoluzioni africane, più o meno eterodirette, ciò che sta accadendo nella patria di Jean-Bedel Bokassa (il famigerato, sanguinario dittatore che governò il paese negli anni '70) ripropone lo stesso schema di sempre: un potere costituito, più o meno legittimamente, che viene scalzato da gruppi di ribelli armati (chissà da chi) e che a loro volta impongono un nuovo ordine costituito.

Sullo sfondo una popolazione
  • analfabeta per il 52%,
  • che vive nel 60% dei casi con 1,25 dollari al giorno,
  • una speranza di vita di 48 anni,
  • una mortalità infantile dell'82 per mille.
Ma soprattutto un paese che "galleggia" su immense ricchezze di diamanti, oro, uranio e che coltiva (ma solo per l'esportazione) enormi quantità di cotone e caffè

Il conflitto si allarga in zone prima tranquille
Il ricordo della dottoressa Katie Treble che lavora nel reparto pediatrico dell'ospedale di Bria per Medici Senza Frontiere. "Tra il 24 e il 26 marzo il nostro reparto pediatrico ha ricevuto 24 feriti gravi. Tra loro c’era una bambina di 3 anni con una ferita da proiettile. Era il caos. Ricordo di aver dovuto lasciare un uomo ferito per andare urgentemente da un altro appena arrivato che aveva l’intestino fuoriuscito. Nonostante le attrezzature mediche limitate, il nostro chirurgo è riuscito a salvarlo

Il conflitto si sta allargando ad aree che erano state considerate relativamente stabili negli ultimi due anni. A Bakouma e Nzako (provincia di Mbomou), villaggi e aree minerarie sono contese da gruppi armati rivali, con conseguenze devastanti per la popolazione civile.

"Sta cambiando la natura del conflitto"
Quella che già era una delle più gravi emergenze umanitarie al mondo sta peggiorando. La Repubblica Centrafricana è in una spirale di violenza senza precedenti dall'apice del conflitto nel 2014. Negli ultimi mesi c’è stato anche un aumento nel numero di attacchi mirati contro comunità specifiche da parte dei gruppi armati, e questo causa ritorsioni e una rapida escalation della violenza.

La natura del conflitto sta cambiando e i civili, traumatizzati e senza aiuti, si ritrovano intrappolati nel fuoco incrociato, cacciati dalle loro case, via dai loro campi e mezzi di sostentamento.

Il lavoro di Medici Senza Frontiere
MSF lavora nella Repubblica Centrafricana dal 1997 per fornire cure mediche d’emergenza alle persone che ne hanno il maggior bisogno in tutto il paese. Nel 2016, MSF ha fornito 947.000 consultazioni mediche (in un paese di 4,6 milioni di persone), ha trattato 580.000 persone per la malaria, somministrato 490.000 vaccini e assistito oltre 21.000 parti. Il 100% dei fondi MSF utilizzati in Centrafrica deriva da donazioni private.

Un po' di Storia
24 marzo 2013 .. I ribelli Seleka, miliziani islamici provenienti dal Ciad, dopo alcune settimane di combattimenti entrano nella capitale Bangui e prendono il potere costringendo alla fuga il generale Bozizé che deteneva il potere dal 2003, e impongono il loro presidente, Michel Djotodia, filo-islamico e strenuo oppositore di Bozizé.

Seguono mesi di massacri, esecuzioni sommarie, violenze e stupri di massa compiuti dalle milizie islamiste Seleka nei confronti dei cristiani e degli animisti (culture indigene), in tutto l'85% della popolazione, mentre solo il 15% della popolazione è di fede islamica.

Alla fine del 2013 finalmente interviene la comunità internazionale per porre fine a questi orrori. In particolare la Francia invia le prime truppe.

10 gennaio 2014 .. Michel Djotodia si dimette e viene nominato Presidente provvisorio Alexandre-Ferdinand Nguendet, la capitale Bangui è liberata e le milizie islamiche Seleka fuggono ma si disperdono incontrollate in tutto il territorio dello Stato.

20 gennaio 2014 .. Il Parlamento elegge Catherine Samba-Panza, una donna, la prima, Presidente di transizione della Repubblica Centrafricana e ancora al potere. Prossime elezioni fissate a giugno 2015, ma che poi saranno spostate al 2016.

Nelle settimane successive l'ONU invia sul terreno la missione di Pace MINUSCA per affiancare le truppe francesi già sul posto. Della missione ONU nella Repubblica Centrafricana fanno parte anche truppe italiane che hanno il compito di ripristinare le comunicazioni, strade, ecc..

Per tutto 2014 .. Le violenze non si fermano, cresce al contrario nella maggioranza della popolazione il senso della vendetta per le "umiliazioni" che hanno dovuto subire dagli islamici nei mesi oscuri del 2013. Nascono così le milizie "Anti-Balaka" (che tradotto significa anti macete) e che si definiscono "combattenti per la liberazione del popolo". Inizia così il massacro della popolazione islamica, accusata di fiancheggiare o di aver fiancheggiato le truppe dei Seleka.

Nell'estate 2014 si è parlato anche di atti di cannibalismo, uccidere il nemico per poi mangiare il suo cuore, nella tradizione africana significa aggiungere al proprio coraggio anche quello del nemico a cui hai mangiato il cuore.

All'inizio del 2015 la presenza della forza multinazionale (MINUSCA) sembra aver fermato le violenze, almeno quelle contro i civili, ma ad aprile un gruppo di militari francesi, inquadrati nella missione ONU, vengono accusati di abusi su minori ospiti di un campo profughi. Chiedevano favori sessuali in cambio di derrate alimentari. L'episodio getta un'ombra di discredito su tutti i militari ONU presenti nel paese.

Sul terreno intanto le Onlus come Save the Children e Unicef si danno da fare in serrate trattative con tutti i gruppi armati per liberare migliaia di bambini soldato arruolati dalle milizie armate. Ed infatti a fine anno vengono liberati oltre seimila tra bambini e bambine che a vario modo erano inquadrati nelle milizie. I bambini costretti a combattere e le bambine usate come schiave sessuali al soldo dei militari.


Novembre 2015 .. Papa Francesco è a Bangui, la capitale, dove apre l'Anno Santo. In segno di riconciliazione visita anche una moschea e un campo profughi. Ma la situazione rimane tesa.

La quasi totalità del paese è sotto assedio e vive nella paura per una ragione o per l’altra. Bangui è assolutamente insicura: uccisioni, incendi di case, barricate che si erigono ogni giorno per impedire agli abitanti dei quartieri nemici di entrare. Tutta la zona centro-orientale del paese è occupata dalle forze che si contendono il potere e si combattono in una interminabile resa dei conti: Seleka e Antibalaka, divisi a loro volta in una miriade di gruppi opposti, si fanno la guerra tra di loro.

Parte una campagna massiccia di vaccinazioni da parte delle organizzazioni umanitarie che denunciano anche un alto tasso di bambini positivi all'AIDS.

Febbraio 2016 .. Le elezioni sono il punto finale di una trattativa lunga ed estenuante tra le forze politiche per darsi, prima una nuova costituzione condivisa da tutti, ed infine un presidente eletto dal popolo.

Con il voto al secondo turno delle elezioni presidenziali di sabato 20 febbraio, Faustin-Archange Touadéra è eletto per guidare la Repubblica Centrafricana verso un futuro di pace e di stabilità. Impegno che si profila alquanto arduo. Touadéra succede a Catherine Samba Panza dopo due anni di interim, conclusosi con l'annuncio dell'autorità elettorale nazionale dell’affermazione al ballottaggio del suo successore, con il 62,71% dei voti contro il 37,29% del rivale, Anicet-Georges Dologuélé.

Fino alle violenze crescenti di questi mesi, che ormai sono cronaca.
(News)
(Blog)
Repubblica Centrafricana, è genocidio ma nessuno ne parla


18 maggio 2017 .. Trovati 115 morti dopo la battaglia per la conquista di Bangassou

Uomini della Croce Rossa locale hanno rinvenuto 115 corpi nella città diamantifera di Bangassou, nel sud della Repubblica Centrafricana, lungo il confine con la Repubblica democratica del Congo. L’Onu aveva parlato di 26 morti, ma il conteggio, evidentemente, non era stato completato.

Gli operatori sanitari hanno perlustrato la città dopo diversi giorni di combattimenti tra milizie che hanno costretto circa 2.750 civili a fuggire oltre confine.

Una battaglia per il controllo della città che segna una nuova escalation in un conflitto iniziato nel 2013 quando i combattenti musulmani Seleka hanno deposto il presidente Francois Bozize, provocando la reazione armata delle milizie cristiane anti-Balaka. I recenti combattimenti si sono concentrati nelle zone centrali e meridionali del paese, ricche di diamanti.

Durante lo scorso fine settimana centinaia di milizie dotate di armi pesanti hanno preso il controllo di Bangassou. Con un dispiegamento di truppe a terra e attacchi aerei, i soldati della missione Onu (Minusca) sono però riusciti a riconquistarne i punti strategici.

Il giorno prima l’Alto commissariato Onu per i diritti umani, aveva espresso “grande preoccupazione” per l’escalation di violenze nel paese.

Nella città centrale di Bria gli scontri tra milizie hanno ucciso cinque persone e si sta cercando di verificare la morte di circa 100 persone nella città di Alindao.
(Reuters)

26 maggio 2017 .. Situazione catastrofica nel sud del paese con centinaia di morti civili

Nella Repubblica Centrafricana la violenza delle milizie ha ucciso nelle ultime due settimane circa 300 persone, provocando la fuga di altre 100.000, nelle città di Bria, Bangassou e Alindao, nel sud del paese. Il quadro della situazione, definita “una catastrofe” è stato fatto ieri dall’Ufficio umanitario dell’Onu assieme al ministro degli Affari sociali, Virginie Baikoua.

Più di 41.400 dei 47.500 abitanti di Bria sono stati sfollati a causa dei combattimenti tra il 15 e il 18 maggio. "Le case sono bruciate, altre saccheggiate ... Gli sfollati hanno paura che ha situazione possa degenerare in qualsiasi momento, perché gli uomini armati si stanno muovendo intorno ai campi che li ospitano"

Nelle ultime settimane la violenza ha segnato una forte escalation nel lungo conflitto che ha avuto inizio quando la coalizione ribelle di Seleka, per lo più musulmana, ha rovesciato il presidente Francois Bozize nel 2013, provocando la rappresaglia delle milizie cristiane anti-balaka.

La scorsa settimana la Croce Rossa ha trovato 115 corpi a Bangassou, un'area mineraria diamantifera al confine con la Repubblica Democratica del Congo, caduta brevemente nelle mani di centinaia di miliziani dotati di armi pesanti.

La città è stata liberata daI contingente delle Nazioni Unite (Minusca), dopo giorni di aspri combattimenti nei quali hanno perso la vita anche cinque caschi blu.

Alla fine di aprile l’Onu ha contato circa 440.000 sfollati in tutto il paese, ma entro la fine di maggio il numero potrebbe raggiungere i 500.000. Ciò rappresenterebbe il più alto numero di sfollati, raggiunto dall'inizio del conflitto, nel 2013.
(Reuters)



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Articolo di
Maris Davis

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25 maggio 2017

Far morire i bambini in mare è un oltraggio all'umanità intera

Nei primi mesi del 2017 sono affogati 1.250 migranti: uno su quattro è un bambino o una donna. La denuncia di Save the Children.


Nelle settimane passate tutto il dibattito riguardava le ONG fatte passare per organizzazioni criminali colluse con criminali e scafisti. Una colpevolizzazione con finalità xenofobe.

Ma la realtà è un'altra. "L'ennesima tragedia del mare avvenuta in questi giorni non può che metterci di fronte alle nostre responsabilità. I bambini che hanno perso la vita scappando da violenza e miseria, sono un oltraggio all'umanità intera". Lo afferma Valerio Neri, direttore generale di Save the Children, commentando la notizia dell'ennesimo naufragio al largo delle coste libiche nel quale hanno perso la vita anche una ventina di bambini.


Save the Children ritiene "assolutamente inaccettabile che l'Europa rimanga inerme di fronte alla tragedia che continua a consumarsi alle sue porte. Da inizio anno risultano essere 1.250 i migranti morti o dispersi nel Mediterraneo centrale, quasi un terzo in più rispetto all'anno precedente. Una persona su 4 tra le vittime e i dispersi potrebbe essere una donna o un minore, ma sappiamo che nei naufragi sono proprio loro i più vulnerabili e il numero potrebbe pertanto essere maggiore"

Un'imbarcazione si ribalta al largo del porto libico di Zuara, soccorsa da Guardia Costiera italiana e ONG Moas. 35 i morti, tra di essi molti bambini, più di 150 i dispersi.


La foto diffusa su Twitter dalla ONG Moas

Trentacinque morti, annegati in mare. Tra di essi anche bambini, secondo quanto testimoniato dalle ONG impegnate nei soccorsi. Quando una nuova giornata difficile nel Mediterraneo Centrale volge al termine, la Guardia Costiera dirama il bilancio delle ripetute operazioni di salvataggio coordinate dalla sua centrale operativa. Il dramma è avvenuto al largo del porto libico di Zuara, provocato dal ribaltamento di un barcone.

"Per uno sbandamento verosimilmente causato dalle condizioni meteomarine e dallo spostamento repentino dei migranti su un fianco dell'imbarcazione, si legge nella nota, circa 200 migranti sono caduti in mare da un barcone con circa 500 migranti a bordo. L'immediato intervento delle navi 'Fiorillo' della Guardia Costiera e 'Phoenix' del Moas ha consentito di trarre in salvo la maggior parte dei migranti caduti in acqua. Trentaquattro, invece, i corpi senza vita recuperati in mare dai soccorritori"

La Guardia Costiera fa sapere che, solo ieri, sono circa 1.800 i migranti tratti in salvo nel Mediterraneo Centrale, in 10 distinte operazioni di soccorso coordinate.
(La Repubblica)

"In coerenza con la propria missione, Save the Children sta lavorando per salvare vite umane in mare. Ma tale azione non è più sufficiente. Occorre uno sforzo congiunto in cui il rispetto dei diritti umani sia il fondamento di ogni azione"

"È indispensabile che la comunità internazionale, e in primo luogo l'Europa, moltiplichi gli sforzi per realizzare vie di accesso sicure dalle aree di crisi o di transito, per evitare che decine di migliaia di persone continuino a vedersi costrette ad affidarsi ai trafficanti, mettendo in serio pericolo la propria vita, per attraversare il Mar Mediterraneo"

Secondo le stime di Save the Children dall'inizio dell'anno al 21 maggio sono arrivati via mare in Italia oltre 48.500 migranti, fra cui più di 7.100 minori la maggior parte dei quali sono non accompagnati (almeno 6.200).




Articolo a cura di
Maris Davis

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