28 aprile 2017

Siccità, dalla Nigeria del nord al Corno d'Africa. Gli eco-profughi sono 157 milioni

Entro il 2050 nel mondo ci saranno 250 milioni di "rifugiati ambientali" e ogni anno cresceranno mediamente di 6 milioni. Secondo l'Internal Displacement Monitoring Agency, intere popolazioni hanno oggi il 60% di probabilità in più di essere forzati ad abbandonare la propria casa di quanto non ne avessero nel 1975. Si calcola poi che dal 2008 già oltre 157 milioni di persone abbiano dovuto spostarsi per eventi meteorologici estremi.
I Paesi più poveri subiscono le conseguenze peggiori
Il nostro pianeta sta subendo in maniera sempre più chiara e veloce, un cambiamento non dovuto a fenomeni naturali. Gli effetti dei mutamenti climatici, come è noto, riguardano tutti. L'impatto, però, che hanno sui Paesi più poveri e sulle popolazioni più vulnerabili, è decisamente maggiore. Negli ultimi anni, proprio a causa di queste alterazioni e delle susseguenti drammatiche condizioni ambientali, sono aumentate le migrazioni forzate di intere fette di popolazioni nel mondo.

Cambiamenti non dovuti solo a fenomeni naturali
Le emergenze umanitarie causate da disastri naturali, molto spesso di naturale non hanno nulla. Un classico esempio è quanto sta avvenendo in Sud Sudan dove centinaia di migliaia di persone sono state colpite da carestia e oltre un milione costrette alla fuga nel periodo tra la fine del 2016 e inizio 2017. Come testimoniano molti fonti accreditate, alla base di tale fenomeno c'è l'impossibilità di allevatori, coltivatori, contadini, di occuparsi del bestiame e delle terre in quanto non accessibili per via del conflitto in corso tra truppe governative e ribelli, non per l'aridità del terreno.

Esistono anche situazioni di conflitto, in apparenza estranee a motivi ambientali, che nascondono in realtà origini strettamente connesse ai cambiamenti climatici in atto. Una drammatico caso è rappresentato dalla guerra in Siria. La crisi, nota come primavera siriana, esplode dopo quattro anni consecutivi di siccità che avevano trasformato i terreni agricoli in deserto e creato problemi gravissimi all'agricoltura e all'industria.
Prendere coscienza dei rischi che si stanno correndo
La battaglia per la conservazione dell'ambiente non avrebbe senso se non fosse primariamente una lotta per l'uomo, in particolare l'uomo più fragile, più a rischio, quello che subisce drammaticamente sulla propria pelle gli effetti dei cambiamenti climatici. È necessario porre all'attenzione di tutti il tema degli eco-profughi e prendere coscienza dei rischi che stiamo correndo, e intraprendere azioni concrete personali e comuni perché il mondo sia più vivibile, a partire dalle popolazioni più vulnerabili.

Il fenomeno degli eco-profughi richiama da vicino quanto Papa Francesco esprime quando parla di "ecologia integrale", cioè l'importanza di riportare al centro dell'attenzione la persona. Si prenda davvero a cuore la cura della natura e dell'ambiente. Se ci si prende cura di uomini e donne, se la loro dignità viene difesa e promossa, se i loro diritti fondamentali vengono riconosciuti. Lavorare in questa direzione vuol dire lavorare per la pace e questo è il modo più alto e nobile di custodire la nostra Terra.
Siccità. Un killer che uccide fiumi, animali e uomini. La Situazione più grave in Somalia
Nel 2011 la siccità in Somalia uccise 250mila persone. Sei anni dopo, quella del 2017, cioè quella che si sta preparando in questi giorni, è già riconosciuta come molto più grave. Ci sono già migliaia di vittime e alla fine questa macabra contabilità registrerà una sorta di record, ancora più morti di quel tragico 2011 che i sopravvissuti ancora ricordano.

In Somalia la siccità minaccia sei milioni di persone. In tutto il Corno, nella Nigeria del nord e nello Yemen le persone a rischio sono venti milioni. La Somalia però tra tutte è il territorio che potrebbe subire i danni più gravi, sul piano delle vite umane e su quello del disastri ambientali. La siccità in Somalia sta infatti rendendo sterile un territorio che storicamente è stato una sorta di giardino del Corno d’Africa, quello “tra i due fiumi”, cioè quello tra il fiume Giuba e l’Uebi Shebeli, nel sud, l’unica porzione di Somalia nella quale si poteva praticare l’agricoltura.

Non solo la siccità sta prosciugando questi fiumi, sopratutto il Giuba che è diventato una specie di rigagnolo. Il suo corso è ormai una sofferenza. Nasce dall'altopiano etiopico e scende verso sud. Inizialmente raccogliendo l’acqua dalle ambe, le montagne , è un fiume a volte tumultuoso poi pian piano evapora e quando arriva in pianura arranca finché a qualche decina di chilometri dalla foce, dove si riunisce con l’Uebi Shebeli, non ce la fa più. Stremato offre le ultime gocce d’acqua al sole poderoso tanto che il mare a quel punto penetra nel suo letto fino nell'entroterra. E il sale marino brucia, per sempre, quella terra preziosa, l’unica adatta all'agricoltura.

Per la Somalia è una svolta tragica. Ed è una svolta economica, oltre che per l’agricoltura, anche per la pastorizia. La Somalia infatti è uno dei maggiori esportatori mondiali di dromedari, li esporta nello Yemen, nel Medio Oriente, nella penisola arabica. Ma questi animali soffrono la siccità e la mancanza di un territorio verde nel quale periodicamente nutrirsi. E negli ultimi mesi c’è stata una ecatombe di dromedari, ne sono morti già 400mila.

La siccità è un vero e proprio killer che lascerà il segno
Per sempre


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Articolo a cura di
Maris Davis

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