16 marzo 2016

A Disquieting Intimacy (Un'Intimità Inquietante)

Alla periferia di Roma le ragazze nigeriane che vivono nella precarietà inquietante dei "campi del sesso", ai margini della società, della legalità e di una città che è la capitale d'Italia e quest'anno perfino la capitale del "Giubileo della Misericordia"

Deborah, con la sua pelle color ebano messa in risalto dall'abito bianco e i teli laceri del giaciglio di fortuna allestito negli anfratti di Roma, è solo una delle tantissime, troppe ragazze nigeriane che sono costrette a lavorare nel mercato del sesso, ai margini della società. Solo una delle protagoniste dell'atmosfera precaria e inquietante dei "campi del sesso" arredati da materassi e rifiuti ai margini di strade delle periferie della capitale d'Italia.


Tra l’erba alta, le discariche irregolari, gli scorci nascosti, l’intimità oltraggiata, gli scatti rubati consegnano alla società civile i campi abusivi del sesso. Materassi sudici adagiati sotto le fronde di qualche arbusto per ricevere un po’ d’ombra d’estate, letti improvvisati fatti di vecchi strapunti imbottiti di lana di pecora, buttati in mezzo alle sterpaglie, lontano dagli occhi indiscreti.

Le prostitute nigeriane di "A Disquieting Intimacy", spezzano la routine della metropoli romana e aggiungono un tratto realistico della vita ai margini della capitale. Le povere ragazze di Benin City, vestite colorate e succinte, restituiscono a colpi di flash la precarietà della Città eterna.

Le foto appartenenti a questa serie, riproducono l’atmosfera improvvisata e allo stesso tempo inquietante di questi campi del sesso, allestiti con mezzi di fortuna per soddisfare le esigenze di chiunque. Le donne di colore di Benin City, da oltre 20 anni, arrivano in Italia per essere sfruttate e lavorare nel mercato del sesso.

Ogni anno donne nigeriane già in Italia reclutano ragazze giovani in Nigeria e le fanno venire in Italia con l'inganno, promettendo loro lavori onesti, ma poi le costringono a prostituirsi.

Ragazze che emigrano per sfuggire all'islam integralista di Boko Haram e alle sue persecuzioni, fuggono dal degrado ambientale e dalla povertà. Ragazze sfruttate che costrette a fare le spogliarelliste nei locali notturni e nelle discoteche ma anche a prostituirsi per pochi euro di giorno, lungo le strade, di periferia o nei campi del sesso come mostrano queste foto.


Benin City, la fabbrica italiana delle prostitute di colore. "C’è un pezzo d’Africa dove le ragazze non parlano italiano ma sanno dire perfettamente quanto mi dai? .. Benvenuti a Benin City, la fabbrica italiana di prostitute all'equatore. Interi quartieri hanno cambiato aspetto da quando si vende all'Italia il petrolio della cittadina, ovvero le giovani ragazze. Ed è così che i giornali locali chiamano la rotta delle schiave, pipeline, oleodotto"

"Vie Libere" e il suo fallimento. Subito dopo l'entrata in vigore della Bossi-Fini, legge 189/2002 ovvero la legge che regolamenta in Italia i flussi migratori, il Viminale dell'allora ministro dell'interno Maroni avviò la campagna "Vie Libere", almeno due volte al mese voli charter riportavano in Nigeria le ragazze sfruttate sulle strade italiane.

Era la strategia delle retate, ovvero andarle a prendere sui luoghi della prostituzione. Ma ciò non ostacolò, bensì alimentò il business dei trafficanti che si ritrovarono nella condizione di poter far pagare ripetutamente il viaggio alla ragazza.

Tutto questo fu possibile a seguito degli accordi bilaterali, Italia - Nigeria del 2002, le nigeriane vengono rispedite a casa con aerei appositamente noleggiati, in cui viaggiano scortate dai poliziotti con un rapporto di 1 a 1 ovvero una ragazza un poliziotto, come fossero criminali che hanno commesso chissà quale reato.

Una volta in Nigeria queste ragazze rimpatriate venivano ammassate in una sorta di centro di detenzione temporanea che si trova ancora a Lagos, finché non venivano reclamate dalle famiglie (e non sempre le famiglie le reclamavano).


Il rimpatrio "forzoso" per le ragazze non ha il significato di libertà. Solo poche rimangono in Nigeria, rientrano nelle famiglie di origine o vengono ospitate presso parenti o amici, molte si suicidano, altre ricontattano gli Italos (ovvero i trafficanti) e tornano in Italia con un debito raddoppiato, il che ha conseguenze sull'aumento del rischio e diminuzione della protezione. E così la ragazza sempre più indebitata, sempre più fragile è più propensa ad accettare le richieste di sesso non protetto che arriva dai clienti italiani.

Quella delle retate fu una strategia che ebbe vita breve, fu un vero e proprio fallimento. Veniva colpito solo l'anello più debole, ovvero le ragazze, mentre i trafficanti e le mamam non venivano quasi toccati perché in possesso di regolari permessi di soggiorno e sopratutto perché anche nei casi in cui veniva avvita un'indagine per sfruttamento o per riduzione in schiavitù, quasi sempre riuscivano a sfuggire al carcere (avvocati ben pagati, decorrenza dei termini, lungaggini della giustizia italiana, ecc..)


Dal 2002, ovvero dall'entrata in vigore della Bossi-Fini, il numero delle ragazze nigeriane in Italia è più che triplicato. La strategia "Vie Libere" non ha portato a risultati, la strategia delle retate a tappeto non ha fatto aumentare le denunce, anzi, ha messo ancora più paura alle ragazze che quasi mai hanno denunciato le loro mamam o i loro sfruttatori.

Una legge, la Bossi-Fini, che mette tutti gli immigrati sullo stesso piano, senza distinguere le vittime della tratta dai migranti "volontari". Una lacuna imperdonabile che pesa anche oggi quando, nelle poche volte che queste ragazze trovano il coraggio per chiedere aiuto alle associazioni di volontariato, hanno mille difficoltà ad ottenere il permesso di soggiorno per "protezione sociale" (art. 18).





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