25 gennaio 2016

Insopportabili disuguaglianze. Aumenta il divario tra ricchi e poveri

Cosa è scritto nel rapporto di Oxfam sulla ricchezza nel mondo. Il rapporto sostiene che l'1 per cento della popolazione mondiale possieda più del restante 99 per cento e che questo divario si sta allargando. 62 Paperoni hanno lo stesso patrimonio di 3,6 mld di poveri. L'uno per cento della popolazione mondiale possieda più del restante 99 per cento e che questo divario si sta allargando.

Il patrimonio dei 62 individui più ricchi al mondo censiti da Forbes (capitanati dal solito Bill Gates), vale tanto quanto mette insieme la metà più povera della popolazione mondiale. È quanto denuncia la ONG britannica Oxfam, in occasione del forum di Davos appena concluso. Tra il 2010 e oggi, i 62 super-ricchi hanno visto crescere il loro portafoglio di 542 miliardi di dollari, mentre i 3,6 miliardi di più poveri hanno perso 1.000 miliardi di dollari.

Un’economia al servizio dell’uno per cento. Nel rapporto è scritto che l’uno per cento della popolazione mondiale possiede più del restante 99 per cento messo insieme. Queste cifre sono "la prova definitiva che viviamo in un mondo in cui la disuguaglianza ha raggiunto livelli senza precedenti da oltre un secolo"

Oxfam è una federazione di 18 associazioni umanitarie e attiviste che si occupano di povertà, diritti umani e ingiustizie nel mondo.

Qualche dato. Nel 2015, secondo Oxfam, 62 persone hanno accumulato la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone (la metà più povera della popolazione mondiale). Cinque anni fa le persone che avevano una ricchezza pari a quella del 50 per cento più povero della popolazione mondiale erano 388, nel 2014 erano 80. Le ricchezze di queste 62 persone sono cresciute del 44 per cento tra il 2010 e il 2015, arrivando a 1.760 miliardi di dollari.

In Italia. I dati sulla distribuzione nazionale della ricchezza del 2015 mostrano come l’uno per cento degli italiani più ricchi abbiano il 23,4 per cento della ricchezza nazionale netta. L’aumento della ricchezza dal 2000 al 2015 non si è distribuito in modo equo, oltre la metà di questa ricchezza è andata al 10 per cento più ricco degli italiani, mentre la restante metà è stata distribuita tra il 90% restante della popolazione italiana.

Nei cosiddetti paesi ricchi, e nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, la quota di reddito nazionale attribuita ai lavoratori si è ridotta (diminuzione del potere d'acquisto), significa cioè che i lavoratori beneficiano di una parte sempre meno consistente dei proventi della crescita. "I possessori del capitale, invece, hanno beneficiato di un aumento dei guadagni ad un tasso di crescita più veloce di quello dell’economia"

È aumentato anche il divario tra lavoratori medi e dirigenti. "Mentre la retribuzione di molti lavoratori è in stagnazione, quella dei top manager è aumentata enormemente. Per esempio, nelle principali aziende statunitensi tali retribuzioni sono aumentate del 54,3% dal 2009 a oggi, mentre i salari dei lavoratori sono rimasti pressoché invariati. L’amministratore delegato della più importante ditta indiana nel settore informatico guadagna 416 volte di più del suo impiegato medio". Non solo, si è allargata la forbice tra la produttività dei lavoratori e i loro salari, questi ultimi ricevono cioè compensi sempre minori.

Alcune imprese possono poi "abusare di posizioni di monopolio e dei diritti di proprietà intellettuale per influenzare e distorcere il mercato a proprio favore, escludendo da esso i propri concorrenti e facendo lievitare i prezzi pagati dalla gente comune". Infine, il rapporto si occupa a lungo di abusi fiscali, della riduzione delle imposte sulle rendite da capitale e dei paradisi fiscali che hanno ulteriormente contribuito ad aumentare le disuguaglianze.

I paradisi fiscali. "In tutti i Paesi del mondo il gettito fiscale serve a pagare i servizi pubblici, le infrastrutture, la pubblica sicurezza, il sistema del welfare e gli altri beni e servizi necessari per il funzionamento del Paese. Regimi fiscali equi sono di vitale importanza per finanziare il corretto funzionamento e l’efficienza degli Stati, nonché per consentire ai governi di adempiere ai propri obblighi e tutelare il diritto dei cittadini a ricevere servizi essenziali quali sanità ed istruzione"

Ma la capacità dei governi di riscuotere le tasse dovute è molto bassa. "Ricchi individui e grandi imprese che intendono sottrarsi ai propri obblighi contributivi ricorrono a uno degli strumenti più immediati a loro disposizione. I paradisi fiscali e i centri finanziari offshore, caratterizzati da segretezza e regimi di imposizione fiscale bassa o nulla per i non-residenti"

"Questo sistema permette che una grande quantità di risorse restino intrappolate in alto, fuori della portata della gente comune e senza ricaduta alcuna per le casse pubbliche degli Stati". Il rapporto dice anche che circa 7.600 miliardi di dollari di ricchezza individuale (più dei PIL di Regno Unito e Germania messi insieme) sono attualmente custoditi offshore. Oxfam ha analizzato 200 imprese, tra cui le più grandi del mondo e i partner strategici del Forum Economico Mondiale, e sostiene che 9 su 10 siano presenti in almeno un paese considerato un "paradiso fiscale".

Le conseguenze. "La crescente disuguaglianza economica nuoce a tutti in quanto pregiudica la crescita e la coesione sociale. Per i più poveri del mondo, tuttavia, le conseguenze sono ancora più gravi. I fautori dello status quo sostengono che l’allarme disuguaglianza è alimentato dalla politica dell’invidia e citano spesso la riduzione del numero di persone in estrema povertà quale prova del fatto che la disuguaglianza non è un problema prioritario"

Oxfam riconosce "gli enormi progressi che dal 1990 al 2010 hanno contribuito a dimezzare il numero di persone al di sotto della soglia di estrema povertà, ma nello stesso periodo, se non fosse peggiorata la disuguaglianza altri 200 milioni di persone si sarebbero affrancati dalla povertà, e tale cifra sarebbe potuta salire a 700 milioni se i poveri avessero beneficiato della crescita economica più dei ricchi"

Donne. In questo contesto di crescente disuguaglianza economica, peggiorano anche le altre forme di disuguaglianza e le donne restano la parte di popolazione più svantaggiata. Oxfam fa notare che nei paesi con un alto livello di disuguaglianza economica esiste anche un maggiore divario tra uomini e donne in termini di condizioni di salute, livelli di istruzione, partecipazione al mercato del lavoro e rappresentanza nelle istituzioni. È più ampio anche il divario retributivo di genere e perfino tra le 62 persone più ricche del mondo 53 sono uomini. Le donne rappresentano la maggioranza dei lavoratori sottopagati e la presenza femminile si concentra nei lavori precari.

"A causa degli ammanchi dovuti a pratiche diffuse di abuso fiscale, i governi si ritrovano con l’acqua alla gola, da qui la necessità di tagliare servizi pubblici essenziali e il sempre più frequente ricorso alle imposte indirette, come l’IVA, che gravano in misura sproporzionata sui soggetti meno abbienti"

Le proposte. Parte del rapporto propone una serie di azioni per invertire la tendenza alla disuguaglianza:
  • Pagare ai lavoratori "un salario dignitoso" e colmare il divario con gli stipendi dei manager aumentando i salari minimi;
  • Promuovere la parità economica delle donne e i loro diritti ricompensando il lavoro di cura non retribuito, ponendo fine al divario retributivo di genere, migliorando la raccolta di dati per valutare l’impatto di genere delle politiche economiche;
  • Tenere sotto controllo l’influenza delle élite istituendo registri pubblici obbligatori dei lobbisti e regole più severe sul conflitto d’interessi, "riformando il quadro normativo, in particolare per quanto attiene alla trasparenza dell’azione di governo", assicurando che vi sia piena trasparenza sui finanziamenti privati ai partiti politici, introducendo norme che impediscano il fenomeno delle "porte girevoli" che permettono un continuo interscambio tra grandi società e governi.
Oxfam propone anche di fare in modo che i medicinali siano accessibili a tutti a prezzi sostenibili, che il carico fiscale sia equamente distribuito, che sia potenziato il settore pubblico piuttosto che il ruolo di quello privato per quanto riguarda la fornitura di servizi essenziali. Come priorità Oxfam chiede ai leader mondiali un’azione coordinata per porre fine ai paradisi fiscali.

Rapporto Oxfam 2016
(Sintesi in italiano)

62 persone
hanno la stessa ricchezza dei 3,6 miliardi più poveri del mondo
542 miliardi di dollari
è l’incremento della
ricchezza dei 62 più ricchi dal 2010 ad oggi
1.000 miliardi di dollari
è la perdita di ricchezza
dei 3,6 miliardi più poveri dal 2010 ad oggi
Solo l'1%
della ricchezza prodotta nel mondo dal 2000 ad oggi, è
è andato alla metà più povera della popolazione
Il 50% della ricchezza
prodotta nel mondo dal 2000 ad oggi è andato all'uno per cento dei più ricchi
3 dollari
è l'aumento medio annuale del salario del 10% più povero della popolazione mondiale





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19 gennaio 2016

L'odissea delle rifugiate nel viaggio verso l'Europa

Molestate, sfruttate, violentate. La violenza contro le donne non ha confini, si verifica a Colonia come al Cairo, nelle piazze e nelle case. Ovunque orribile e da condannare senza se e senza ma. La compiono, in parte, anche i rifugiati. La subiscono, in parte, anche le rifugiate.

Amnesty International ha recentemente incontrato in Germania e Norvegia 40 donne e ragazze rifugiate, al termine di un viaggio che dalla Turchia le aveva portate in Grecia ed era proseguito lungo la "rotta balcanica". Ne è uscito un quadro agghiaccianteEcco due testimonianze:
  • "In un albergo della Turchia, un siriano al servizio dei trafficanti mi ha proposto di passare la notte con lui, così avrei pagato di meno o addirittura avrei viaggiato gratis. Ho rifiutato, era una cosa disgustosa. Lo stesso è capitato a tutte in Giordania. Una mia amica, fuggita anche lei dalla Siria, arrivata in Turchia ha finito i soldi. L’assistente del trafficante le ha proposto di fare sesso e l’avrebbe fatta imbarcare. Lei ovviamente ha rifiutato e non è partita. Ancora adesso si trova in Turchia"
  • "Non ho mai avuto la possibilità di dormire al chiuso, avevo troppa paura che qualcuno mi toccasse. Le tende non erano separate e ho assistito a scene di violenza… Mi sentivo più sicura quando ci muovevamo, soprattutto sui pullman, solo lì sopra riuscivo a chiudere gli occhi e ad addormentarmi. Nei campi è facilissimo essere toccate, non si può denunciare e alla fine ognuna vuole evitare di creare problemi che blocchino il viaggio"
"Dopo aver vissuto attraverso gli orrori della guerra in Iraq e Siria queste donne hanno rischiato tutto per trovare la sicurezza per sé e per i propri figli. Ma dal momento in cui inizia questo cammino sono di nuovo esposte alla violenza e sfruttamento"

Tutte le donne e le ragazze incontrate da Amnesty International hanno raccontato di essere state minacciate e di aver provato una costante sensazione di insicurezza.

Molte di loro hanno denunciato che, in quasi tutti i paesi attraversati, hanno subito violenza fisica e sono state sfruttate economicamente, molestate o costrette ad avere rapporti sessuali coi trafficanti, col personale di sicurezza o con altri rifugiati.

I trafficanti prendono di mira le donne che viaggiano sole, sapendo che sono le più vulnerabili. Quelle che non hanno i mezzi economici per pagare il viaggio vengono spesso costrette ad avere rapporti sessuali. Almeno tre delle donne intervistate da Amnesty International hanno denunciato che i trafficanti e i loro collaboratori hanno molestato loro e altre, offrendo uno sconto o un minore tempo di attesa per salpare verso la Grecia in cambio di sesso.

"Queste donne e i loro bambini sono fuggiti dalle zone più pericolose del mondo, ed è vergognoso che siano ancora a rischio sul suolo europeo"

Donna siriana a Berlino
La paura è rimasta costante anche durante il viaggio in Europa, soprattutto quando le rifugiate erano costrette a dormire insieme a centinaia di uomini. Alcune di esse hanno denunciato di essere state picchiate o insultate da parte di agenti delle forze di sicurezza in Grecia, Ungheria e Slovenia.

Le donne e le ragazze, in viaggio da sole o con i loro figli, hanno dichiarato di essersi sentite particolarmente in pericolo nei centri di transito e nei campi dell’Ungheria, della Croazia e della Grecia, obbligate a dormire insieme a centinaia di uomini. In alcuni casi, hanno preferito dormire all'aperto o in spiaggia.

Le donne intervistate da Amnesty International hanno anche riferito di aver dovuto usare le stesse docce e gli stessi gabinetti degli uomini. Una di loro ha raccontato che, in un centro d’accoglienza della Germania, i rifugiati le osservavano mentre andavano in bagno. Per evitare quest’esperienza, alcune di loro rinunciavano a bere e mangiare.

"Non ho mai avuto la possibilità di dormire al coperto. Avevo troppa paura che qualcuno mi toccasse. Nelle tende erano tutti mescolati, uomini e donne, e ho assistito a violenze sessuali e stupri di gruppo"

Amnesty International ha parlato con sette donne in gravidanza, che hanno denunciato di non aver ricevuto cibo e cure mediche durante il viaggio e di essere state schiacciate durante la calca ai confini e ai punti di transito.

Più di 10 delle donne intervistate da Amnesty International hanno denunciato di essere state toccate, palpate e guardate in modo volgare nei campi di transito europei.

Una irachena di 22 anni ha raccontato che, quando si trovava in Germania, una guardia di sicurezza in divisa le ha offerto dei vestiti in cambio di "un po’ di tempo sola con lui"
(Amnesty International)



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15 gennaio 2016

Prostituzione. Punire, legalizzare o scoraggiare?

La piena legalizzazione anche in Italia della compravendita di prestazioni sessuali, seguendo l’esempio di altri Paesi europei, fra cui la Germania, deve essere affrontata con lungimiranza. Il Parlamento italiano è dall'abolizione della legge Merlin, ovvero dal 1958, che non discute di regolamentare la prostituzione.

In Italia la prostituzione non è un reato in se, nel senso che non colpisce la donna che si prostituisce, ma esistono una serie di reati legati ad essa come lo sfruttamento, la riduzione in schiavitù, tratta di essere umani, il sesso con minorenni, atti osceni in luogo pubblico (reato che viene contestato quando si vuole colpire i clienti), e altri minori.

L'opinione pubblica italiana si divide tra coloro che affermano che legalizzare e regolamentare porterebbe introiti in tasse per lo Stato e chi pensa che legalizzare la prostituzione significherebbe anche favorire il suo sfruttamento.

Semplificando, nei paesi europei vi sono oggi tre modalità per affrontare la questione del sesso a pagamento:
  • La prima (chiamiamola modello italiano) non proibisce né la vendita né l’acquisto delle prestazioni sessuali, ma punisce chi sfrutta questo mercato.
  • La seconda (modello tedesco e olandese) legalizza sia l’acquisto sia la vendita di sesso, legalizzando anche le imprese che organizzano l’incontro fra domanda e offerta.
  • La terza invece proibisce l’acquisto, ma non la vendita, di prestazioni sessuali (modello svedese), si punisce quindi i clienti.
Il neo-proibizionismo di tipo svedese (punire i clienti), adottato dal 1999, successivamente introdotto in Islanda e Norvegia, ora sta per essere approvato anche in Francia ed è raccomandato a tutti i Paesi da una risoluzione del Parlamento europeo del febbraio 2014.

La discussione su quale sia la scelta migliore è aperta, ma l'attuale dibattito, a mio avviso, è basato in modo eccessivo sui "principi". Da un lato, molti tra i favorevoli alla legalizzazione invocano il diritto delle persone a fare del proprio corpo quello che vogliono. Molti neo-proibizionisti insistono invece sulla indisponibilità commerciale delle prestazioni sessuali, in nome della dignità delle persone.

Si tratta di posizioni, non solo non conciliabili, ma addirittura incapaci di comunicare fra loro. Io ritengo che su questi temi, pur tenendo saldi i valori costituzionali, convenga invece ragionare alla luce dell’etica della responsabilità, ossia di quella che dovrebbe guidare i legislatori.

La domanda principale dovrebbe essere, a prescindere dalle intenzioni e dai principi espressi da una legge, quali sono le conseguenze della legge stessa. L’Italia, nel ragionare sulle leggi per regolare la prostituzione, ha la "fortuna" di essere l’ultima arrivata, potendosi giovare di una storia ormai sufficientemente lunga di Paesi che hanno fatto le due diverse scelte, legalizzatrice e neo-proibizionista.

C'è subito da dire che il modello tedesco, ovvero legalizzazione completa sia della domanda che dell'offerta, adottato in Germania dal 2002, prima ancora in Olanda ed in seguito anche applicato in Austriaha decisamente fallito. Non ha portato nessun vantaggio fiscale per le casse dello Stato (solo una cinquantina di donne sono infatti iscritte alle camere di commercio come prostitute), ma al contrario ha fatto aumentare il loro sfruttamento. Sia in Germania che in Austria si sono moltiplicati gli hotel del sesso dove "imprenditori" scaltri assumono ragazze, quasi tutte straniere dell'est.

Un sistema, quello tedesco, non ha fatto altro che moltiplicare il numero di clienti, facendo della prostituzione un business legalizzato che ha arricchito solo gli sfruttatori (che ora si chiamano "imprenditori"), non ha portato nessun vantaggio alle casse statali e soprattutto rende sempre più schiave le ragazze.

Gli osservatori e gli studiosi segnalano in modo concorde che nei Paesi legalizzatori il numero di prostitute e di clienti è aumentato (le stime in questo campo sono difficili e aleatorie, ma i giornali tedeschi parlano di un milione di clienti al giorno), mentre non si riesce a contrastare in modo efficace lo sfruttamento delle "sex workers", con la piccola eccezione delle prostitute di alto bordo.

Non è un caso se molte delle donne straniere che accedono in Italia a misure di protezione contro la tratta dichiarano di essere passate per i bordelli tedeschi od olandesi. Le donne che liberamente decidono di vendere prestazioni sessuali sono in realtà pochissime, la stragrande maggioranza delle biografie delle prostitute parla di marginalità e sfruttamento. Insomma, l’esperienza dimostra che, se il mercato del sesso viene legalizzato diventa praticamente impossibile contrastare la tratta di esseri umani a scopo sessuale.

Non a caso sia l'Olanda che la Germania tentano di ritornare indietro, infatti la prostituzione legalizzata sta diventando un vero e proprio problema politico.

Pensando a quanto potrebbe accadere in Italia, mi sembra pertinente il paragone con la legalizzazione del gioco d’azzardo nei bar, una volta rotto l’argine proibizionista, le possibilità di guadagno sono tali che la pratica si è diffusa a macchia d’olio, creando intrecci inestricabili e difficilmente contrastabili di interessi, di lobby, cui purtroppo la politica non è estranea, e spalancando un lucroso business alla criminalità organizzata.

Alla luce di quanto accaduto in Germania e in altri Paesi, e tenendo conto del basso tasso di legalità dell’Italia, specialmente in alcune sue regioni, temo che se la prostituzione venisse legalizzata i bordelli si moltiplicherebbero a dismisura, non migliorando la condizione delle prostitute, indebolendo il contrasto alla tratta, e favorendo gli affari delle mafie. NO, quindi, al modello tedesco, NO alla liberalizzazione della prostituzione.

Prima di adottare il modello neo-proibizionista in Svezia si discusse a lungo sui principi, ossia sul fatto che quella legge fosse contro il diritto di un individuo di disporre liberamente del proprio corpo. Pragmaticamente si decise che, essendo impossibile mettere un confine realistico fra libertà e costrizione, per tutelare le donne sfruttate conveniva optare per una scelta semplice e draconiana, sanzionando chi acquista prestazioni sessuali, ma non chi vende sesso, accompagnando e assistendo nel contempo chi vuole lasciare il lavoro del sesso.

Le ricerche sull'effetto di queste leggi sono incoraggianti. In Svezia nel 2014 una commissione indipendente presieduta dal Cancelliere della giustizia ha concluso che la legge ha avuto effetti sostanzialmente positivi:
  • Il numero delle prostitute di strada si è ridotto della metà.
  • È stato calcolato che in Svezia nel 1995 operassero circa 3.000 prostitute, mentre attualmente si parla solo di 300.
  • La Svezia avrebbe un decimo delle prostitute della Danimarca, a fronte di una popolazione quasi doppia.
  • Negli anni immediatamente precedenti il 1999, il 13,6% degli uomini pagava "prestazioni sessuali" e la maggioranza della popolazione era contraria alla legge.
  • Nel 2014 meno dell'8% degli uomini acquistava prestazioni sessuali e il 70% della popolazione era favorevole alla legge che criminalizza l'acquisto dei rapporti sessuali.
La prostituzione in rete è aumentata in Svezia come altrove, a causa dello sviluppo di Internet, ma si trovano molti più annunci online nei Paesi vicini. Dopo aver ascoltato le testimonianze delle donne prostituite e delle ex prostitute, degli assistenti sociali, dei poliziotti e di altre persone direttamente interessate, la commissione ha concluso che la legge rappresentava un ostacolo all'insediamento dei trafficanti e dei magnaccia e aveva determinato una riduzione della criminalità organizzata.

Quindi, alla luce di questi risultati concreti, se l’obiettivo è ridimensionare tutto il mondo di sfruttamento che gira attorno alla prostituzione e combattere la tratta, il modello svedese sembra essere di gran lunga più efficace rispetto al modello tedesco.

In Italia non sarebbe necessario fare molto, esistono già leggi che condannano la tratta, lo sfruttamento, il traffico, riduzione in schiavitù e altri reati correlati al mondo della prostituzione, basterebbe solo proibire (come in Svezia) l'acquisto di prestazioni sessuali a pagamento, come anche raccomandato dall'Unione Europea e adottato in altri paesi europei con risultati eccellenti.
SI, quindi, al divieto di acquistare prestazioni sessuali

Diciamo assolutamente NO alle "Case Chiuse", NO all'istituzione di aree a "Luci Rosse" e ancora NO ai "mercati del sesso a pagamento"



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06 gennaio 2016

Tra i migranti dalla Libia, in aumento le schiave sessuali africane

Giovane ragazza nigeriana costretta a prostituirsi
Fra i migranti le prostitute schiave. Così dalla Libia aumentano le vittime. Per loro lo sbarco in Italia è l’inizio di un nuovo incubo: la prostituzione forzata. Accade a migliaia di donne africane, soprattutto nigeriane.

Nel 2015 i trafficanti hanno approfittato dell’esodo dei profughi, sfruttando l'emergenza. Mentre il governo (italiano) non si muove e non fa nulla, o troppo poco per salvare queste giovanissime donne dalla schiavitù della prostituzione coatta. Una legge, la Bossi-Fini, inadeguata e inefficace per difendere dallo sfruttamento i "moderni schiavi".

Quando sbarcano in Italia non sorridono. Hanno superato il deserto, attraversato il Mediterraneo, sono arrivate vive in Sicilia, ma non sono salve. Per loro l’approdo è solo l’inizio di un nuovo incubo: la prostituzione forzata. Sta accadendo ogni giorno a centinaia di donne, soprattutto nigeriane ma non solo. Adescate in Nigeria con la promessa di un futuro migliore in Europa, vengono traghettate dalla povertà alla schiavitù del sesso nelle città italiane, spagnole o del Nord Europa.

È una tratta antica, ma che dall'inizio del 2014 si è sovrapposta all'ondata di partenze dalla Libia, assumendo proporzioni senza precedenti. I trafficanti approfittano dell’esodo dei profughi, usando gli scafisti per portare qui la loro merce: le donne. Dopo lo sbarco, si insinuano nelle pieghe dell’emergenza per ottenere permessi temporanei e forzarle al marciapiede. Senza che le nostre istituzioni riescano a impedirlo, rassegnate a farsi complici degli sfruttatori.

"Prima di partire siamo state istruite su come comportarci con la polizia", racconta Princess, "Dopo la traversata mi hanno mandato in strada a fare la prostituta. Se portavo meno di 200 euro al giorno venivo picchiata". Come fantasmi, le africane entrano nei centri d’accoglienza straordinari ed escono sui sedili dei "clienti".

"Queste ragazze vivono una seconda schiavitù. Prima la fame, poi lo sfruttamento sessuale. Il governo non sta agendo. Forse non vede la gravità del fenomeno, oppure chiude un occhio per evitare di soffiare sulle paure, di dare spazio alla destra. Intanto le reti criminali ne approfittano. E lucrano sulle donne contando proprio sull'incuranza delle istituzioni"

La nuova rotta .. Nel 2014 erano sbarcate in Italia 1.400 nigeriane. Si stima che alla fine di dicembre 2015 potrebbero essere più di 5.000 (cinquemila) le schiave trascinate sui barconi per finire a battere sui marciapiedi del "bel paese".

Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, le donne e le ragazze nigeriane arrivate via mare in Italia a fine settembre 2015 sono state 4.371. L’anno scorso, nello stesso periodo, erano state 1.008. Un incremento del 300%.

Secondo l’ Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), il 70 per cento delle giovani africane sbarcate in Italia arrivano dalla regione di Benin City, Edo State in Nigeria, la maggior parte di loro è destinata alla prostituzione "coatta.. Leggi anche "Aumentato nel 2015 il numero di vittime di tratta arrivate via mare".

Lo confermano le indagini. "Il collegamento fra favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e sfruttamento sessuale non è occasionale. Entrare con documenti falsi via aereo è sempre più difficile". In questi ultimi anni quasi il 60 per cento delle ragazze nigeriane è arrivata in Italia via mare dalle coste libiche. E sempre di più, le lucciole raggiungono l’Europa attraverso il Mediterraneo o i Balcani.

Non vengono solo dalla Nigeria, ma anche dal Camerun, dal Mali, dal Niger e dal Corno d'Africa, sebbene le vittime che arrivano da questi paesi siano più difficili da intercettare. "Un problema enorme e urgente da affrontare" anche in Inghilterra che denuncia almeno duemila casi di sfruttamento solo nel 2015. Insomma l’Europa comincia ad aprire gli occhi su questo fenomeno. Mentre a Roma tutto tace.

Doppio incubo .. Le rotte clandestine sono un’affare d’oro per i trafficanti, fanno risparmiare soldi per il viaggio e per i documenti. Ma per le donne significano soltanto dolore. Le sopravvissute portano dalla Libia le cicatrici di violenze, abusi, rapporti non protetti se non con metodi artigianali (come pezzi di cotone infilati prima della penetrazione), aborti indotti in condizioni igieniche inimmaginabili.

"Il gruppo di pick-up su cui viaggiavo nel deserto con altre dodici ragazze è stato fermato più volte. Ogni volta i militari hanno potuto fare di noi quello che volevano", racconta ancora a fatica Princess, una ventenne che per mesi è stata obbligata a prostituirsi nel quartiere Ballarò di Palermo, prima di denunciare il suo aguzzino ed entrare in un percorso di protezione. "Venivamo minacciate dai fucili, siamo state violentate e offerte ai militari in cambio dell’immunità degli altri, per far passare indenne il convoglio. Opporsi era impossibile, si rischiava di essere uccise o abbandonate nel deserto".

Testimonianze come queste sono numerose e concordanti. Le donne sono diventate ormai merce di scambio tra i trafficanti e le organizzazioni militari o paramilitari e gruppi armati che si controllano il tragitto che porta dal centro Africa alle sponde Sud dell’Europa. Non soltanto destinate a diventare squillo, quindi, ma anche usate lungo il viaggio come beni da baratto. Un doppio incubo.

Bambine perdute .. Il via vai degli scafisti verso la fortezza europea non ha solo stretto con violenza le catene delle schiave lungo il viaggio, ma ha anche cambiato radicalmente la ricerca di nuova "merce" alla fonte, rendendo la caccia ancora più brutale.

"Le ragazze che incontriamo ultimamente provengono da regioni poverissime, molto spesso sono analfabete, non hanno mai frequentato una scuola. Ma soprattutto sono piccole. L’età media delle prostitute nigeriane era di 20, 21 anni prima del 2011. Adesso sono aumentate le minorenni e le adolescenti".

In Veneto, nella zona di Treviso, è stata fermata una ragazza nigeriana destinata alla strada. Diceva di essere maggiorenne, ma aveva appena compiuto dodici anni, insomma una bambina. "Moltissime nigeriane con cui entriamo in contatto hanno 15, 16 anni. I trafficanti hanno detto loro di presentarsi come maggiorenni per non finire in strutture più controllate. Spesso sono vergini. Destinate non solo all'Italia ma anche alla Francia, alla Spagna e al resto d’Europa"

Le ragazzine "vergini" sono richiestissime, c'è un vero e proprio "mercato". Gente disposta a pagare anche 5 e fino 10 mila euro per un rapporto sessuale con una giovanissima nigeriana ancora "vergine".

Ragazza nigeriana si trucca prima di scendere in strada
Ragnatele criminali .. Abeke è partita dal suo villaggio all'inizio del 2014 quando aveva solo 16 anni. Da Tripoli è salita su un barcone con un uomo e altre cinque ragazze nigeriane come lei, era agosto 2015. Dice di non ricordare l’approdo in Italia, ricorda però che dal porto hanno preso diversi treni, fino a Bari. Dalla stazione sono state portate in un appartamento con una sola stanza da letto. Lei dormiva per terra in cucina. Le è stato detto che avrebbe dovuto prostituirsi per restituire il debito di viaggio, stimato in decine di migliaia di euro, e che doveva 200 euro al mese d’affitto e 100 euro alla settimana di cibo.

Ma non basta, pagava anche 300 euro al mese per la piazzola sul marciapiede dove era costretta a prostituirsi. Ogni giorno una macchina la portava a un quadrato di asfalto lurido di fianco alla strada alle sei di mattina e la ritirava alle 21. Ogni sera Abeke e le altre ragazze erano obbligate a consegnare alla "mamam", la donna nigeriana che le controllava, tutti i guadagni della giornata. Se guadagnavano poco venivano picchiate.

Una volta Abeke si è rifiutata di avere rapporti per i dolori mestruali, è finita in ospedale. La sua storia è stata cambiata dall’incontro un’operatrice della cooperativa BeFree di Roma , che l’ha aiutata a uscire dal racket. Ma è simile a quella di centinaia di altre giovanissime.

Uno sfruttatore nigeriano intercettato dalla polizia, Obuh Destiny, si riferiva a loro come le "galline". Ogni ragazza veniva fotografata e schedata dall'organizzazione criminale perché fosse riconoscibile agli uomini del clan lungo le tappe del viaggio dalla Nigeria al Niger, quindi alla Libia, a Lampedusa e infine alle strade di Ravenna.

La burocrazia del male di "Brothers Happy", com'era chiamata in codice l'organizzazione del trafficante nigeriano, univa al controllo capillare delle donne, anche il vincolo del debito contratto dai familiari per il viaggio, e infine la superstizione, con maledizioni woodoo e pratiche di stregoneria tuttora temute da chi nasce in quelle terre. I riti violenti, l’efficienza e la paura incatenano queste ragazze senza scampo.

Sfruttare gli ingranaggi .. Queste reti criminali hanno un giro d'affari, che l’osservatorio Transcrime (della Cattolica di Milano e dell’Università di Trento) stima possa valere da 600 milioni a più di quattro miliardi di euro solo in Italia.

La mafia nigeriana ha capito presto come approfittare di tutti gli ingranaggi dell’emergenza in Italia. Non solo per la facilità di approdo, ma anche per la possibilità di mettere in regola, almeno per un po’, le loro vittime, arrivando a usare i centri d’accoglienza come basi operative.

"È frequente, quasi normale ormai, incontrare ragazze che si prostituiscono per strada con in tasca la richiesta d’asilo. Macchine e pulmini le aspettano fuori dalle strutture che le ospitano e le portano a vendersi lungo le provinciali". Abbiamo denunciato anche noi più volte di ragazze che si prostituiscono dentro e fuori dal CARA di Mineo (per esempio).

I trafficanti obbligano le ragazze a presentare domanda di protezione internazionale, sapendo che questo darà loro diritto a stare in Italia fino alla risposta. Agli ufficiali le donne ripetono tutte le stesse "storie", quasi in fotocopia. Raccontano che i familiari sono morti in un attentato, oppure che sono vittime di persecuzioni, poi la partenza attraverso la Libia.

Sanno, i papponi, che oggi il tempo medio per avere una convocazione dalla commissione territoriale è di sette mesi, ma in alcune città come Roma, Milano o Palermo può esserci da aspettare più di un anno. E così queste povere ragazze per tutto questo tempo restano in balia della "Mafia Nigeriana".

Ma non basta, i trafficanti sanno anche che in caso di diniego potranno fare ricorso, accumulando così tempo prezioso per sfruttare le ragazze senza il rischio che vengano rinchiuse in un CIE perché irregolari. E senza il rischio che, pur di non essere espulse, le ragazze-bambine si convincano a NON denunciarli

Tutto ciò è possibile proprio grazie alla legge italiana, quella Bossi-Fini che non distingue i trafficanti dalle ragazze "schiave". Ragazze "schiave" che, i mediatori culturali e le associazioni riescono ad individuare subito, e che quindi fin da subito potrebbero essere sottratte ai loro "magnaccia", ed invece "ostinatamente" vengono lasciate in balia di se stesse nei centri per richiedenti asilo (CARA).

Stato assente .. La procedura di protezione internazionale è un diritto che va garantito a tutti, non solo per umanità o per legge, ma perché se affrontata nel modo giusto potrebbe davvero servire a combattere lo sfruttamento. Alcune commissioni territoriali hanno iniziato a lavorare con gli esperti anti-tratta per riconoscere le vittime e aiutarle a denunciare.

Andando oltre gli schemi che le porterebbero ad essere respinte, per ottenere invece una protezione specifica. "Torino è stata la prima. Qualcosa si muove anche in altre città, ma il problema è che non c’è nessuna indicazione a livello di ministero o di governo centrale"

Onlus molto attive, governo molto assente. Il governo è immobile davanti alla tratta delle schiave. "Dopo lo sbarco le ragazze vengono sparpagliate nei centri straordinari, aperti d’urgenza dalle prefetture in tutta Italia, ma gli albergatori o le cooperative improvvisate a cui vengono affidati i migranti non sanno riconoscere i segni dello sfruttamento. Che può avvenire così sotto i loro occhi".

Stava succedendo a Monza, ma i responsabili di una struttura se ne sono accorti dopo una fuga e hanno chiesto aiuto avviando colloqui con 30 africane. Tutte erano già cadute nella trappola, anche se in modo "soft". Per convincerle a tacere i magnaccia dividevano i profitti a metà con loro. Cinque donne li hanno denunciati e sono state aiutate.

A Napoli la prefettura ha stretto un accordo con Dedalus, un’associazione anti-tratta, per individuare le vittime nei centri d’emergenza. Ma a livello nazionale niente, nessun intervento a riguardo. Anzi, da due anni è fermo un piano di riforma necessario per adottare le normative europee. Lo Stato, in perenne emergenza, non si rende conto di essere diventato complice dei peggiori schiavisti del pianeta.

"Che alternative danno le istituzioni a chi lascia la strada?"

Appello
Il Governo adotti un Piano Nazionale
Il governo faccia di più per assicurare con effettività la tutela e l'assistenza delle vittime di tratta e adotti il piano nazionale di azione contro la tratta. In un momento storico in cui il fenomeno non tende certo a diminuire ma, anzi, richiede una attenzione particolare nella fase della identificazione delle vittime, spesso confuse tra i migranti che approdano sulle nostre coste chiedendo la protezione internazionale, persiste una limitata attenzione del governo italiano al sistema anti–tratta, sotto il profilo del coordinamento degli interventi e della predisposizione di una governance in grado di prevedere politiche complesse, capaci di agire su più direttrici.

La debolezza del sistema è dovuta al limitato recepimento da parte dell’Italia delle disposizioni contenute nelle fonti internazionali ed europee in materia. In particolare, relativamente alla Direttiva 2011/36/UE, il decreto legislativo di recepimento 4 marzo 2014 n. 24 ha mancato di introdurre nell'ordinamento interno alcune importanti disposizioni sotto il profilo della effettiva tutela delle vittime e per il consolidamento di un buon sistema anti-tratta non colmando alcune carenze del sistema che avrebbero potuto contribuire ad un suo sostanziale miglioramento.

La mancata predisposizione di misure adeguate per la rapida identificazione, previste dalla direttiva europea, comporta forti limiti nella tutela delle vittime soprattutto nella fase del primo contatto tra queste e le Autorità. Per questo auspichiamo che il governo provveda ad adottare quanto prima il Piano nazionale di azione contro la tratta previsto dal D.L. 24/14, contribuendo a colmare, almeno parzialmente, tali importanti lacune.


Le Ragazze di Benin City



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