30 settembre 2015

Etiopia, valle dell'Omo. Vite prosciugate

Cinquecentomila persone che vivono nella valle del fiume Omo (Etiopia) e intorno al lago Turkana (Kenya) subiranno gravi conseguenze quando sarà completata la diga Gilgel Gibe III.

Gilgel Gibe III, il grande sbarramento che si sta costruendo sul fiume Omo in Etiopia, metterà a rischio la sopravvivenza delle popolazioni indigene che da secoli vivono nell'area. Survival international, il movimento mondiale dei popoli indigeni, mette in guardia il governo etiope e la comunità internazionale sui rischi connessi alla realizzazione della diga.

Il gravissimo impatto della diga Gibe III sulla popolazione della bassa valle dell’Omo in Etipopia, da sempre denunciato dalle organizzazioni per la protezione dei popoli nativi e da quelle per il rispetto dei diritti umani, è stato confermato dal rapporto recentemente pubblicato di una delegazione di diplomatici europei in visita nella zona l’anno scorso.

Ne hanno fatto parte funzionari delle ambasciate finlandese, svedese, tedesca, olandese, dell’Unione Europea oltre che della cooperazione inglese e americana. Da notare l’assenza dell’ambasciata italiana, che invece dovrebbe essere interessata, se non altro perché la ditta costruttrice è la Salini, sempre vincitrice di appalti per la costruzione di grandi opere in Etiopia.

La diga Gibe III, in costruzione (2015)
La diga Gibe III, che ha un valore approssimativo di 5 miliardi di dollari è stata pagata in gran parte da una delle più grandi banche cinesi, la Industrial and Commercial Bank of China, mentre la Banca Mondiale ha finanziato la rete di distribuzione dell’elettricità prodotta dall'impianto collegato (1870 megawatt). Fin dal 2010 la valutazione del devastante impatto socio ambientale ha invece provocato il ritiro dal pool di investitori dell'European Investment Bank e dell'African Development Bank.

Nei terreni confiscati per costruire la diga, dovrebbe nascerne anche una delle più grandi piantagioni di canna da zucchero del mondo. La sterminata estensione di terreno interessata dal progetto è sempre stata terra di pascolo dei popoli nativi della regione la cui economia è basata sull'allevamento brado, di competenza degli uomini, e sull'agricoltura di sussistenza attorno ai villaggi stanziali, di cui si curano le donne.

Da decenni, secondo i responsabili di Survival International, i popoli della Valle dell’Omo soffrono per la progressiva perdita di controllo e di accesso alle loro terre. Negli anni Sessanta e Settanta, nei loro territori sono stati istituiti due parchi nazionali dalla cui gestione gli indigeni sono esclusi.

Negli anni Ottanta, parte delle loro terre sono state trasformate in grandi fattorie irrigate e controllate dallo Stato. Successivamente, proprio il governo di Addis Abeba, ha iniziato a sfrattare le tribù per far spazio a piantagioni industriali di canna da zucchero, palma da olio, jatropha, cotone e mais. L’obiettivo è la produzione di biocarburanti destinati all'uso interno e all'esportazione.

"Se gli sfratti e la politica di villagizzazione, operati dalle autorità etiopi senza il consenso libero, prioritario e informato delle comunità coinvolte, non saranno fermati subito, potrebbe scoppiare una grave crisi umanitaria che tra la bassa valle dell’Omo, in Etiopia, e il lago Turkana, in Kenya, perché si comprometterà la sicurezza alimentare di almeno 500mila persone rimaste fino ad oggi largamente autosufficienti in uno degli ambienti più ostili e fragili del pianeta"

A mettere ulteriormente a rischio le popolazioni locali è Gilgel Gibe III. Questo sbarramento, alto 240 metri e lungo 630 metri, dovrà produrre, una volta realizzato, 6.500 Gwh all'anno. A nove anni dall'inizio dei lavori, è compiuta oltre metà dell’opera. L’impresa costruttrice è l’italiana Salini Impregilo e a finanziare il progetto è l’Industrial and Commercial Bank of China (ICBC), ovvero la più grande banca cinese.

L'Italia NON pagherà alla Banca Mondiale la quota di sua competenza per finanziare il progetto della diga Gibe III. C'è da dire che il ministero degli esteri italiano non ha mai concesso alcun prestito al governo etiopico per la realizzazione della controversa diga sul fiume Omo. La cooperazione italiana non ha mai staccato il previsto assegno di 250 milioni di euro, a copertura parziale del miliardo e mezzo necessario per far sorgere lo sbarramento. Almeno in questo caso possiamo dire che l'Italia non è, e sarà, complice del disastro socio-ambientale che si sta attuando nella valle dell'Omo.

Ambizioni regionali. La diga è un tassello importantissimo della politica energetica nazionale di Addis Abeba. L’obiettivo è di raggiungere, sfruttando risorse rinnovabili come l’idroelettrico, un livello di produzione energetica tale non solo da soddisfare la domanda interna, ma anche di esportare parte dell’energia nei paesi confinanti. Risponde a questa esigenza anche la costruzione della Grande diga del millennio, sbarramento sul Nilo blu che ha portato negli anni scorsi a forti tensioni con l’Egitto, ora in parte rientrate grazie a un’intesa raggiunta la scorsa primavera. L’autosufficienza energetica garantirebbe entrate costanti all'Etiopia e rafforzerebbe il suo ruolo di potenza regionale.

La portata dell’Omo subirà una drastica riduzione. Il fenomeno interromperà il ciclo naturale delle esondazioni che periodicamente riversano acqua e humus nella valle alimentando le foreste e rendendo possibile l’agricoltura e la pastorizia nei terreni rivivificati dalla acque. Tutte le economie di sussistenza legate direttamente e indirettamente al fiume collasseranno compromettendo la sicurezza alimentare di almeno 200mila persone in Etiopia.

Gravissime saranno anche le ripercussioni sul lago Turkana del Kenya, che riceve più del 90% delle sue acque dal fiume Omo. Il drastico abbassamento del livello delle acque potrebbe compromettere irreversibilmente le possibilità di sostentamento di almeno altre 300mila persone.

Un deplorevole imbroglio. Migliaia di persone sono state costrette a lasciare le loro terre con la promessa che sarebbero stati spostati in villaggi di nuova costruzione più a valle. Quanto ai nuovi villaggi sono stati costruiti in una zona fangosa e isolata, con capanne di infima qualità.

La loro situazione è deplorevole e per l’assenza di latrine c’è una grande diffusione di malattie come diarrea emorragica e malaria. I servizi di base non sono disponibili. Ci vogliono due ore di cammino per trovare acqua da bere di pessima qualità e il presidio sanitario più vicino è a otto ore di marcia. I residenti dicono che il governo non permette loro di spostarsi.

Altre testimonianze parlano di corruzione, cattiva gestione dei fondi messi a disposizione per il programma, land grabbing e di conflitti inter etnici scatenati dal programma stesso.

In sintesi anche Human Rights Watch e International Rivers hanno di fatto confermato che la popolazione è stata ingannata

La valle dell'Omo


"NO allo sfruttamento dell'Africa da parte di multinazionali straniere con l'appoggio dei governi corrotti dell'Africa a discapito delle popolazioni locali"
Africa Libera


Articolo curato da

Nessun commento:

Posta un commento

Ci è sempre gradito un tuo commento. Grazie

In Nigeria non si può più essere cristiani

Bambini e neonati uccisi, donne e disabili massacrati, case incendiate. Racconto della strage di Natale per mano dei pastori...